Può l’uomo salvarsi da solo con le sue forze, senza la Grazia divina? È predestinato alla salvezza o alla dannazione eterna?

Queste domande di Pelagio aprono un dibattito come l’uomo può salvarsi? Le domande hanno scatenato diverse ricerche dei teologi e ricercatori di verità. E se abbiamo dietro le spalle circa 17 secoli dal giorno che questi problemi venivano posti per la prima volta siamo ancora oggi a cercare le risposte e a rispondere. Sembra incredibile. Qual è ragione perché questi problemi sono sempre attuali? La risposta a mio avviso è la questione della libertà e problematica della sua compressione. L’uomo libero non vuole essere determinato da nessuno. La decisione dell’individuo di salvarsi è definitiva e non ritiene opportuno l’intervento di nessuno ma soprattutto di Dio e della Sua Grazia? Dall’altro canto: la salvezza dipende da me oppure è la libera decisione di Dio e della Sua misericordia? In che senso capire la predestinazione: come una destinazione o elezione? Esiste un peccato di Adamo o peccato originale? Esiste un peccato attuale o è la conseguenza della fragilità umana?

A queste problematiche domande Pelagio risponde: gli uomini non erano predestinati ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario l’intervento della Grazia divina. In poche parole, Pelagio sostiene idea che l’uomo non ha bisogno dell’intervento di Dio e nemmeno di Chiesa, perché:

  1. negava la trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano, anche se sembra che questo concetto sia stato per primo introdotto da un tale Rufino il Siriano, aderente alla setta, e solo successivamente ripreso da Pelagio.
  2. non sussisteva il peccato originale, il battesimo era visto da Pelagio come un momento di accoglimento nella Chiesa: tuttavia, se il bambino fosse morto senza battesimo, sarebbe stato ugualmente accolto in paradiso.

Del resto, la libertà di decisione data all’uomo, Pelagio interpretava con questa logica: l’uomo è creato da Dio per raggiungere la perfezione e, in forza di ciò, non può che essere un ente assolutamente libero e responsabile di ogni sua azione. Si domanda Pelagio, non sarebbe un’evidente contraddizione se Dio esigesse dall’uomo la perfezione e questi fosse impossibilitato a raggiungerla? Il male che fa non è una decisione voluta ma è accidentale e questo presuppone nello stesso momento dell’azione, la piena autogiustificazione.

Di qui discendono le note tesi pelagiane circa il peccato originale: se il male è non essere[1], ne segue che esso non può aver corrotto la natura umana. Né tanto meno aver distrutto la libertà che Dio ha concesso all’uomo. Ne segue allora che il peccato originale commesso da Adamo non può essersi trasmesso ereditariamente a tutti gli altri uomini; ciascuno di noi, allora, è responsabile solo dei propri peccati. L’ulteriore conseguenza che Pelagio trae da queste premesse è che, in quanto esente dal peccato originale, l’uomo è potenzialmente in grado di raggiungere la salvezza con le proprie forze, ossia con le proprie opere buone, senza l’intervento di Dio o la mediazione della Chiesa. Alla luce di ciò, secondo Pelagio, ogni cristiano deve sforzarsi per raggiungere la perfezione, secondo il modello del monachesimo[2].

Pelagio muore nel 420 ca., il bastone del comando fu preso soprattutto da Giuliano, vescovo di Eclano, che, dal suo esilio in oriente, si impegnò in una disputa decennale con Sant’Agostino. Tuttavia, un fatto alquanto imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il supporto dato loro dal patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il nestorianesimo venne condannato dal Concilio di Efeso del 431, anche il pelagianismo seguì la stessa sorte. In Occidente esso sopravvisse più a lungo nelle isole Britanniche, particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in Gallia, dove fu rielaborata dal monaco Giovanni Cassiano nella forma del semi-pelagianismo, condannato dal II sinodo di Orange del 529.

Dopo tanti secoli, si vede che ancora oggi viene ricordata la eresia di Pelagio anche se non si conosce la sua storia, però trova tantissimi seguaci dell’idea: credere senza la comunità di chiesa e senza Gesù e i Suoi sacramenti. Basta essere convinti quando si dice che sono bravo e non faccio niente del male a nessuno. Affermazione: credente non praticante fa parte della visione pelagiana che sempre si ripercuote sulle coscienze e sulle scelte umane.

Adesso proviamo a chiedere ad Agostino come Lui vede gli stessi problemi e come risponde a queste domande?

Partiamo dal problema della libertà. Agostino in particolare difende la libertà del volere: la volontà è in nostro potere ed è essa la causa del male. di conseguenza il peccato, in quanto allontanamento dall’ ordine naturale voluto da Dio, è anche un atto di superbia, che presuppone la volontà di essere come Dio.

Progressivamente Agostino mette sulla scrivania il problema della volontà umana (che la filosofia degli stoici, ma anche platonici, hanno preteso di raggiungere la virtù e la felicità soltanto con le proprie forze) non gode di completa libertà. Sull’ agire umano Agostina dice viene esercitata grande forza del abitudine, fondata sul ricordo del piacere, amplificato dalla memoria stessa. In questa vita si può solo sperare di essere felici ma mai felici. A questa visione dei filosofi pagani Agostino oppone la virtù dell’umiltà.

La questione centrale nella discussione con Pelagio ha il peccato originale di Adamo. Agostino sostiene che quello ha contaminato la natura umana, facendo sì che l’uomo non è in grado di redimersi da sé perché il peccato ha offeso Dio e solo Lui può perdonarci.

Al centro dell’esperienza cristiana Agostino colloca dunque non la libertà dell’uomo ma l’incarnazione e la resurrezione di Cristo, da cui dipende la redenzione degli uomini. Siamo slavati non per la nostra libera decisione della volontà ma attraverso la morte e risurrezione di Gesù! Il baricentro si sposta nel futuro, nella resurrezione finale: solo allora sarà possibile la piena felicità. Nell’opera di redenzione, la Chiesa svolge una funzione essenziale di mediazione tra l’uomo e Dio.

Agostino diventa consapevole che essa è un’organizzazione per le grandi masse, inclusi i peccatori, e si distingue radicalmente dalle comunità settarie presente ai suoi tempi come: donatisti o pelagiani. Per i donatisti nessun peccatore può fare parte della Chiesa, che è santa, e perché una comunità di eletti evita ogni mescolanza con un mondo esterno impuro. Per Agostino allora la Chiesa è il luogo e la comunità che aiuta a diventare santi: occorre dunque convivere con i peccatori, rimproverandoli e correggendoli. Grazie all’acquisizione di questo importante concetto di Chiesa, come comunità universale per tutti, Agostino dona alla filosofia un essenziale strumento per valutare la qualità morale di un’azione che è l’agente morale: è questa che rende buono un atto. Determinati atti ecclesiastici, per Agostino, come la somministrazione dei sacramenti (per es. il battesimo) sono validi indipendentemente dalla condizione morale di chi li compie. È Cristo che dà efficacia al sacramento, anche se il sacerdote attraverso cui Egli opera, è peccatore.

Nel campo di antropologia una sua accurata riflessione sulla lettura di San Paolo contribuisce ad accentuare la tensione e il dissidio tra la carne e lo spirito. Agostino giunge a una concezione dell’uomo come essere totalmente dipendente (non è la schiavitù ma la relazione d’amore) da Dio: la salvezza dell’uomo dipende dalla grazia concessa da Dio. Questa convinzione diventa dominante soprattutto nell’ultima fase della vita di Agostino, quando a partire dal 412 egli deve affrontare le dottrine pelagiane:

  • l’uomo può raggiungere la salvezza grazie alle sole sue opere, senza l’intervento di Dio (non c’era bisogno della morte di Gesù per salvare l’uomo). Per Agostino invece appartengono alla Chiesa anche i peccatori: la fede stessa sorge nell’ uomo solo per grazia divina che viene distribuita all’interno della comunità della chiesa.
  • in seguito al peccato di Adamo, con il quale e nel quale non un singolo uomo, ma l’intera natura umana ha peccato, l’umanità è diventata una “massa dannata”, meritevole di punizione.

Per spiegare la trasmissione ereditaria del peccato originale Agostino riprende la dottrina del traducianesimo, secondo cui l’anima è trasmessa di padre in figlio insieme con la generazione del corpo. Solo Cristo ne è rimasto immune; solo nascendo da una vergine Egli poteva nascere senza peccato. Così come solo Dio nella sua misericordia può salvare l’umanità dannata: col peccato di Adamo, infatti, l’umanità ha perso la libertà del volere, ha soltanto la libertà di fare il male, ma questa non è la vera e propria libertà. L’ umanità è uscita radicalmente menomata dal peccato originale, infatti anche dopo aver ricevuto il battesimo, il cristiano resta un invalido, bisognoso di guarigione. Dio nel battesimo toglie il peccato ma rimangono le conseguenze, cioè spariscono i doni preternaturali come: immortalità, armonia con il creato, e la conoscenza di Dio ma rimane la libertà nella quale vediamo l’immagine e somiglianza con Dio.

Il Dio di Agostino è dunque un Dio che ha inflitto una pena collettiva per il peccato del primo uomo; questa è la condizione dell’umanità: molti sono i dannati, pochi gli eletti. Per Agostino Dio è onnipotente e quindi nulla accade se Egli non lo provoca o non lo permette. Qui tocchiamo il problema della predestinazione e dell’elezione divina. Agostino si pone la domanda: come è possibile che un Dio sapiente, che ha creato l’uomo, voglia che ci siano tanti dannati e pochi eletti? Dall’altro canto: Dio sa già prima della nostra nascita se saremo salvati o dannati? Su questo interrogativo Agostino si travaglia incessantemente, arrestandosi infine di fronte a questa domanda perché è inappropriata davanti all’imperscrutabilità del giudizio di Dio e anche perché questa domanda definitivamente cancella il dono della libertà.

Libertà, secondo Agostino, non significa possibilità di scegliere indifferentemente il bene o il male. Col peccato, infatti, l’uomo ha acquistato la libertà solo nel senso di “non poter non peccare”. La libertà di Adamo prima del peccato consisteva nel poter non peccare: vera libertà è invece l’essere liberi dal peccato, non poter peccare. Ma questa non è una prerogativa dell’uomo in quanto uomo, bensì solo di coloro che sono eletti dalla grazia divina (es. Madre di Dio). La volontà deve essere salvata per diventare libera dal peccato: libero è appunto colui che è chiamato dalla grazia divina alla vera libertà, consistente nel sottomettersi al bene. La volontà che ha ricevuto la grazia possiede l’amore, la carità, la quale fa sì che l’anima preferisca ciò che è maggior bene rispetto a ciò che lo è meno. Ma il Sommo Bene è appunto Dio, la vita felice diventa, allora, un dono, che Dio accorda indipendentemente da qualsiasi merito o, comunque, non in base a meriti conosciuti dall’uomo. Se essa dipendesse dalle opere e dai meriti dell’uomo, allora la salvezza non dipenderebbe più da Dio (quello che voleva Pelagio).

La dottrina della grazia è strettamente connessa in Agostino alla dottrina della predestinazione e con significa destinare ma essere eletti: è Dio che stabilisce coloro che si salveranno e coloro che saranno dannati? Certo Egli non induce a compiere il male, ma l’uomo usando la libertà si può privare della sua misericordia e peccando si può dannare. Sapere che siamo stati eletti rende utili gli sforzi umani: il singolo, infatti, non è certo della sua salvezza o della sua dannazione, ciò contribuisce a far assumere un atteggiamento combattivo, interpretando ogni evento come un atto deliberato, da parte di Dio, di misericordia per l’eletto e di condanna per il reprobo.

Vediamo adesso come queste due tendenze teologiche del IV secolo hanno da una parte influito sulla dottrina cristiana soprattutto nella morale e dall’altra parte come hanno aperto un forte dibattito sulla libertà e predestinazione umana. D’altronde le idee di Pelagio hanno influenzato il Cristianesimo per secoli e anche oggi abbiamo a che fare con alcune sue idee.

Agostino ci è riuscito a superare il problema tra la superbia (salvezza con le proprie forze) e umiltà (salvezza attraverso la morte e risurrezione di Cristo) cionondimeno tutte le generazioni avevano a che fare con il problema della salvezza e della collaborazione della libertà dell’uomo con il progetto di Dio.

Anche oggi siamo ancora i testimoni dei risvegli del neo-pelagianismo nella società riempita del materialismo e del consumismo istantaneo e impoverita della sua visione soprannaturale.

La questione di salvezza affidata alla chiesa come in tutta la storia della chiesa per alcuni viene rifiutata perché prevalga  ancora oggi la tentazione del Pelagio: decidere il proprio destino indipendente dall’opera redentrice di Cristo. Rifiuto della chiesa come comunità alla quale Salvatore lascia di custodire e conservare la Grazia della Salvezza rende l’uomo privo della vera fede che ha il suo inizio e il suo fine in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Bisogna fare ancora un’altra osservazione: ci sono in mezza a noi anche le persone semplicemente non credenti in Dio di Gesù Cristo e di conseguenza non accettano il piano di salvezza che Gesù ha rivelato a tutti noi. Questo Figlio tramite la sua chiesa manda i suoi discepoli dicendo: andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo; chi crederà sarà salvato e chi non crederà sarà condannato.

Quando discutiamo di fede non seguiamo il consiglio di Pelagio il quale afferma questa frase: “se la strada ti manca, inventala”  ma quella di Agostino: “chi cerca Dio con umiltà, lo troverò anche sotto la tenda di Caino”.

 


[1] Secondo la metafisica: essere vuol dire bene ed esistere, non essere il contrario dell’essere non esiste! Se il bene è la grazia (essere) il male (è il contrario dell’essere – non esiste) cioè il peccato non esiste perché è il non essere. Rimane risolvere il problema del male. Se esiste solo il bene allora il male non esiste. Questa logica ha portato Pelagio agli antipodi della fede ed a degradare ulteriormente l’immagine di Dio già deformata nel peccato originale.

[2] È un fenomeno caratterizzato da alcune rinunce agli interessi mondani per dedicarsi nel modo più completo alla propria spiritualità. Fonda le sue radici in oriente e in seguito in occidente. Molte religioni hanno creato elementi monastici: cristianesimo, induismo, buddhismo, giainismo, taoismo.