Il dinamismo del nostro tempi con i suoi continui cambiamenti sociali, politici e climatici ci invita a ripensare lo stile di vita che in qualche modo viene influenzato da tutti questi fattori. I significati dello stile di vita sono molti, a seconda del contesto nel quale la frase viene usata.

Oggi, in generale, con ciò si intende da una parte il tenore di vita che una persona può permettersi:  e dall’altra parte tutti i tratti caratteristici del comportamento di un individuo o di una comunità (ambiente sociale, circolo sociale, fascia di età, professione, abitanti del paese, ecc.), manifestati soprattutto nella vita quotidiana (atteggiamenti verso il lavoro, modi di trascorrere il tempo libero, consumi, abbigliamento, relazioni interpersonali, ecc.); lo stile di vita possiamo dire è l’aspetto esteriore della vita interiore come quella salutare e spirituale che comunque si notano all’esterno e parlano della condizione del soggetto.

Ricercatori enfatizzano il comportamento quotidiano, perché si tratta principalmente di comportamenti ripetitivi e di routine; oltre ai comportamenti lo stile di vita include anche le motivazioni di tali comportamenti, associate ai significati e ai valori loro assegnati, e determinate funzioni delle cose che sono o fini o mezzi per un fine, o gli effetti voluti di tali comportamenti; lo stile di vita è uno dei principali fattori che differenziano la società e distinguono le società l’una dall’altra; al centro dello stile di vita c’è una gerarchia di valori e bisogni, o stabiliti nella tradizione e nel costume, o adottati imitando le mode attuali[1].

Così nel campo medico, per “lo stile di vita” si intende sostanzialmente quello che c’è sotto gli abiti. Cioè lo stato di forma e di salute della persona che deriva in buona parte dai comportamenti giusti o sbagliati tenuti ogni giorno, in particolare per quanto riguarda alimentazione (includendo in questo contesto non solo gli alimenti ma anche altro, ad esempio caffè e alcol) e l’attività fisica. Invece nel campo spirituale si intendono quelli valori che si trovano dentro il cuore dai quali derivano tutti i comportamenti e le scelte morali, come diceva s. Agostino: quello che mangi diventerai.

Ogni epoca ha avuto il “suo” stile di vita. I nostri antenati di circa 40.000 anni fa avevano un loro stile di vita: non avevano una casa, si vestivano di pelli, si cibavano di ciò che raccoglievano o cacciavano.

Nello scorrere del tempo, delle epoche, delle civiltà anche lo stile di vita ha avuto la sua evoluzione e le sue modifiche accompagnate dagli alti e bassi legati alle varie fasi storiche.

Lo stile di vita è un mezzo che costruisce una società e parla di essa ma è anche lo specchio nel quale possiamo vedere quali sono i suoi principali obbiettivi da realizzare e valori da vivere. La questione ha la sua importanza di fronte alle cose ultime della vita: la morte. L’uomo è unica creature su questa terra che si pone le domande circa “oltre la soglia della morte”. È l’unico a domandare: quale è il obiettivo principale, cioè ultimo: l’eternità sulla terra oppure in cielo. Lo stile di vita dell’individuo, della famiglia e della società è una buona opportunità a partire dei valori presenti nella società a rispondere alla domanda se crediamo nel paradiso terrestre e oppure in quello celeste. Quali sono i mezzi per realizzazione di questo obiettivo e qual è il progetto di vita e dei mezzi che ci permettono di arrivare alla soddisfazione di questo desiderio.

Presente saggio desidera invitarvi a riflettere sulla bellezza dello stile di vita cristiano attraverso lettura della Sacra Scrittura e della nostra tradizione.

Quando la fede era al primo posto.

Che genere di vita conducevano i primi cristiani?

Negli Atti degli Apostoli è scritto che, come prima cosa, praticavano la carità: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Nessuno, infatti, tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (At 4,32-35).

Inoltre, praticavano la preghiera: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù” (At 1,14). Predicavano il Vangelo ed annunciavano il Regno: “Ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo”; “con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” e “predicavano che la gente si convertisse”, “annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo” (At 5,42; 4,33; Mc 6,12; At 28,31).

Celebravano i sacramenti, in particolare battezzavano, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: “battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in acqua viva”[2], si confessavano: “Nell’assemblea farai la confessione dei tuoi peccati e non ti recherai alla preghiera in cattiva coscienza”[3], si comunicavano: “nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete le grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro”[4].

Quelli che ne avevano il mandato esorcizzavano e praticavano l’unzione dei malati (“Scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano”, Mc 6,13), e inoltre praticavano la successione apostolica (At 1,15-26).

I credenti amavano riunirsi e imparavano le Scritture, inoltre vivevano amorevolmente la koinonia e la liturgia: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.

Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.

Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, e lodando Dio” (At 2, 42-47).

La Lettera a Diogneto[5], scritta nel II secolo, ci illustra anche i loro costumi e la loro etica. Da essa sappiamo che i cristiani fin dall’inizio vivono con fedeltà il matrimonio: “hanno in comune la mensa ma non il letto”[6].

Nell’antica Grecia e nell’antica Roma ci s’imbatte nell’«esposizione dei neonati» indesiderati, ossia il loro abbandono fuori dalla porta o tra i rifiuti; i cristiani invece accettano i figli come dono della vita: “. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati”[7].

Inoltre, non si abbandonano a gozzoviglie ma esercitano uno stile di vita sobrio, sostenuto “con le mortificazioni del mangiare e del bere”; essi “non vivono secondo la carne”.

Infine, conducono un’esemplare vita sociale, poiché “partecipano a tutto come cittadini” e “obbediscono alle leggi stabilite”. Anzi, “con la loro vita superano le leggi”.

Eppure, misteriosamente, non sono amati.

La lettera a Diogneto riporta che “per quanto compiano il bene vengono puniti come malfattori”, “amano tutti ma da tutti sono perseguitati”, “sono disprezzati”, “sono insultati”, “vengono bestemmiati”.

Perché tutto questo?

Spesso non lo sapeva nemmeno chi li odiava: “Chi li odia non sa spiegare il motivo della propria avversione nei loro confronti”. Ma un motivo c’è: questi cristiani che “vengono oltraggiati e benedicono”, sono un faro di luce sulle coscienze, scavano nel profondo dei cuori, illuminano i peccati, fanno capire a colui che li incontra che fino a quel momento la sua intera esistenza era scivolata nell’ombra, che esiste invece una possibilità di riscatto, ma si tratta di una faticosa risalita che la carne non vuole vedere, che preferisce tenere nascosta nel buio.

I cristiani, col loro stile di vita nuovo, urtano il quieto vivere, indispongono per il fatto che perfino quando vengono condannati e uccisi, essi “gioiscono come se ricevessero la vita”. E questa gioia irrita. “Così i cristiani sono odiati dal mondo, benché non gli facciano alcun torto, perché si oppongono ai suoi piaceri”. I piaceri del mondo sono effimeri, non sono duraturi come quelli dello spirito; ma quella carne che non ha trovato altro, vi si aggrappa disperatamente, e odia perfino la propria anima “perché le impedisce di abbandonarsi ai piaceri”

Quando la fede è diventata un quadretto appeso alla parete.

Attuale stile di vita di tanti cristiani in confronto con Atti degli Apostoli fa capire una notevole trasformazione o meglio la caduta di fede, dei comportamenti morali e delle tradizioni. Il paese che ancora 40 anni fa era l’esempio per il costume cristiano ricco di fede oggi mostra la perdita della sua identità, soccombendo all’influenza distruttiva di alcune correnti della cultura moderna: ogni presente “social network”, dipendenza dai smartphone, commemorazioni su Facebook, vignette di auguri su WhatsApp e altri comunicatori e persino le celebrazioni online e altre forme di digitalizzazione al posto del reale. Tutte queste nuove forme della realtà virtuali non aiutano a vivere la fede ma sono un problema non solo per il mondo spirituale ma soprattutto per il mondo della convivenza della comunità reale.

Non mancano persone che hanno riconosciuto che “Dio è morto” e si sono proclamati “dio”, decidendo di essere loro stessi i fabbri della loro vita e i padroni assoluti del mondo. Una persona che si è sbarazzata di Dio non aspetta da Lui la salvezza, crede di poter fare ciò che vuole, che può diventare l’unico riferimento per sé e per la sua vita. Ma è vero che l’uomo è felice quando rimuove Dio dal proprio orizzonte, pensando che Egli “sia morto”? Diventa davvero più libero? Quando gli esseri umani si proclamano padroni assoluti di se stessi e unici governanti della creazione, possono costruire una società che rispetta la libertà, la giustizia e la pace? O piuttosto si stanno diffondendo l’illegalità, gli interessi egoistici, l’ingiustizia, lo sfruttamento e la violenza in tutte le sue forme?

Papa Francesco, contro queste idee moderne, insegna: tutti i cristiani sono corresponsabili della costruzione di una società di pace: ci vogliono uomini che uniscano l’umanità nell’amore di Dio. Il mondo di oggi, spiega ancora il Papa, che «la fede non va confusa con lo stare bene o col sentirsi bene, con l’essere consolati nell’animo perché abbiamo un po’ di pace nel cuore. La fede è il filo d’oro che ci lega al Signore, la pura gioia di stare con Lui, di essere uniti a Lui; è il dono che vale la vita intera, ma che porta frutto se facciamo la nostra parte». Questo dono è presente nel sacramento dell’Eucarestia e del perdono.

«La fede, che è un dono di Dio e va sempre chiesta – dice il Papa nell’omelia a Baku – va anche coltivata da parte nostra. Non è una forza magica che scende dal cielo, non è una “dote” che si riceve una volta per sempre, e nemmeno un super-potere che serve a risolvere i problemi della vita. Perché una fede utile a soddisfare i nostri bisogni sarebbe una fede egoistica, tutta centrata su di noi».

Problemi della società che scambia il “reale” con il virtuale

Va preso in considerazione l’importante problematica della società del XXI secolo: la solitudine. Questa è la conseguenza della scomparsa delle relazioni reali e la fuga nel virtuale: la presenza nel social non è sinonimo di assenza di solitudine.

Le comunità virtuali (intendo i gruppi dei conoscenti) spesso rimangono semplicemente gruppi di persone che si riconoscono intorno a interessi o questioni debolmente connesse. Inoltre, sui social network troppo spesso l’identità si basa sull’opposizione all’altro, sul non appartenere al gruppo: si definisce in base a ciò che separa piuttosto che a ciò che collega, mostrando sospetto e sfogando ogni tipo di pregiudizio. Questa tendenza sostiene i gruppi che, mentre alimentano anche l’individualismo sfrenato nell’ambiente digitale, a volte alimentano una spirale di odio. E così quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa una vetrina in cui viene esposto il proprio narcisismo e contrapposizione all’altro. Esistono anche i gruppi con lo scopo altruistico ma sono in notevole minoranza.

La rete digitale però potrebbe essere è un’opportunità per promuovere l’incontro con gli altri, ma può anche aumentare il nostro autoisolamento. Dobbiamo proteggere i giovani che sono i più esposti all’illusione che il social network possa soddisfarli pienamente sul piano delle relazioni, al pericoloso fenomeno dei giovani “eremiti sociali”, che rischiano di essere completamente tagliati fuori dalla società. Il risultato di questo stato di cose è “un mondo chiuso”.

Il “mondo chiuso” si basa sull’egoismo e sulla mancanza di interesse per il bene comune. Un giovane con un cellulare in mano dalla mattina alla sera non ha più il contato con il mondo reale. Vive una parte della propria fantasia e può sentirsi incapace di relazionarsi con un’altra alterità. Un mondo del genere è accompagnato dalla manipolazione e dalla deformazione di concetti importanti come libertà, giustizia, rispetto, amore ect. In esso compaiono egoismo e disinteresse per il bene comune; il predominio della logica basata sui benefici e sulla cultura dell’esclusione; povertà intellettuale e morale; basata sulla degenerazione sociale, e sulla divisione persistente delle persone.

Questa idea del mondo chiuso sta in contrasto con la comunità della Chiesa. Questa è stata costituita come comunità dei cuori e non sarà mai come un’associazione virtuale che produce solitari. La Chiesa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, in cui l’unità non si basa sui “simili” ma sulla verità, sul “amen”, con cui ciascuno si aggrappa al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri.

Rafforzare i legami interpersonali e pericolo della democrazia pensata male.

Un tratto caratteristico di una società democratica è da una parte il funzionamento di diverse visioni del mondo, religioni, visioni politiche e dall’altra parte i modi di autorealizzazione degli individui, sistemi di valori, ecc. Lo spazio sociale contemporaneo è caratterizzato da un pluralismo che comprende sempre nuove aree di presenza umana aiutando a costruire una cultura e lo stile di vita. Quale è quella vera? “La cultura è ciò che umanizza un uomo, ciò che lo rende più umano, e non ciò che lo porta ad essere animalesco”.

“La secolarizzazione presuppone un orizzonte in cui non c’è più posto per il sacro, per il fattore religioso come elemento dominante della cultura. È una visione della società priva di moralità e tradizione cristiana». Con questa siamo già alla porta dell’indifferentismo. L’indifferentismo odierno che notiamo fortemente anche a Rapolano non riguarda la negazione dell’esistenza di Dio, ma il rifiuto di tutti i valori validi. Significa insensibilità culturale e spirituale ciò che è la Chiesa e la fede.

Una parrocchia che abbandona lo stile di vita cristiano e si radica nella società indifferentista contribuisce alla scomparsa dei valori cristiani e sociali, dicendo che sono solo punti di vista o la posizione di una persona o di un gruppo di persone senza la possibilità di dare a loro d’essere valori universali. Così la società deformata è lo strumento della cultura della morte dove: aborto, eutanasia, depravazioni sessuali, droga, alcol, azzardo, ingiustizie sociali, frodi e incidenti diventano i valori principali della società. Parrocchia di oggi protegge il male e condanna il bene. Mi ricordo 20 anni fa un episodio nella parrocchia vicina dove un anziano parroco viene insultato perché ha chiesto ad un padre la giustificazione per le assenze al catechismo dei suoi figli. La risposta era molto chiara: vengono al catechismo quando non ci saranno le partite (loro devono diventare i grandi giocatori) e la comunione la faranno uguale oppure il prete saprà cosa vuol dire mettersi contro di lui. A distanza di 20 anni questi figli non sono diventati né giocatori, né cristiani ma l’ombra dell’umano con un sostanzioso bagaglio dei reati, della droga, dell’alcol, del fumo e altre problematiche psicologiche e famigliari.

La parrocchia che scambia il dovere con lo svago cammina verso l’indifferentismo religioso e l’annientamento del proprio stile di vita e della società cristiana. La storia dei tanti ragazzi che si sono “giocati” i sacramenti sottolinea abbandono della crescita spirituale. Per tanti ragazzi sostanzialmente la fede sta nel bacio delle dita dopo un segno di croce (spesso fatto male) perché da piccoli la nonna diceva: dai un bacio a Gesù! Tanti di questi non si sono mai più ripresentati all’Eucarestia e non si sono mai più confessati dopo la prima comunione! Tanti di loro non sanno cosa sono le scelte morali e la gravità del peccato! Con rammarico si afferma che quello che collega tutti loro sono i genitori che insegnano il nuovo valore: lo svago al dovere. Molto spesso sono stati difesi e giustificati perché non frequentano la Chiesa: sono impegnati. Sembra una barzelletta l’affermazione di un adulto del paese (raccontato da un prete piemontese) che è rimasto scandalizzato che il prete ha detto ai ragazzi: se venite a giocare, venite poi anche alla messa! Dopo di questa, quell’uomo, per allontanare ancora di più i ragazzi dalla chiesa voleva che il comune facesse un campino per i ragazzi, perché così non dovrebbero più andare dal prete a giocare e non avrebbero più sentito l’invito alla messa!

La nuova Arca

Secoli fa s. Antonio di Padova diceva che l’Arca di Noé è la Chiesa di Gesù. Oggi più di prima quest’arca comincia ad avere un significato importante. Cambiamento radicale della società: mentalità secolarizzante, indifferentismo, mancanza delle autorità, crisi della famiglia, crisi economica, crisi dell’umano e mancanza d’esempi da parte della società, frodi, atti di vandalismo, schiavitù digitale, droga, alcol, sesso e corsa verso iper-soddisfazione dei desideri sopra ogni costo ci invitano ad una seria riflessione e ripensamento del nostro stile di vita.

Che cosa dobbiamo fare? Ritorniamo alla Chiesa la nuova Arca di Noé, dove al posto del costruttore della antica nave è Gesù Cristo, Figlio di Dio e unico Salvatore dell’uomo.

L’arca aveva tre piani, i tre piani che spiegano il nostro agire: il piano dell’accoglienza di Dio, il piano dell’accoglienza di fede e il piano dell’accoglienza umana. Sono tre piani comunicanti e mentre saremmo portati a pensare il terzo piano – quello più in alto – il piano di Dio, in realtà è il contrario.

Il primo piano dell’arca è l’accoglienza di Dio nella vita di ogni uomo, nella vita della Parrocchia… chi vede la Parrocchia dovrebbe vedere l’arcobaleno, il segno della benedizione di Dio che scende su tutti, il segnale della benedizione di Dio in quel posto. Noè non avrebbe costruito l’arca se non avesse accolto l’invito di Dio; invito forse anche poco comprensibile sul momento. Perché costruire un’arca così grande? Perché costruire un’arca dove non c’è l’acqua?

La Chiesa è nel mondo, ma deve essere separata dal mondo. Noè e la sua famiglia vissero l’esperienza del diluvio, non ne furono esentati, ma la vissero in condizione di totale separazione dal resto dell’umanità e ciò fu la loro salvezza. “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv 17,15-16).

È una tentazione ricorrente per la Chiesa quella di cercare “l’amicizia del mondo”, ma il monito della Parola di Dio è molto fermo: “Non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi, dunque, vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio” (Gi 4,4).

La costruzione dell’arca fu un’opera titanica per quei tempi: chissà quale dispendio di energie richiese la realizzazione di questa imbarcazione le cui dimensioni erano quelle di un moderno transatlantico. Quanti alberi furono segati e trasportati al “cantiere”, quanti tronchi scortecciati e trasformati in assi, quali strategie furono messe in atto per sollevare le assi, accostarle le uni alle altre, curvarle, fissarle! Quanti problemi si incontrarono e quante soluzioni si dovettero cercare per superarli per compiere un’opera che non aveva precedenti! Ed il tutto in mezzo all’incomprensione ed alla derisione della gente, perché sicuramente quel progetto sarà sembrato follia al mondo corrotto ed incredulo.

Possiamo come Noé essere sensibili alla voce di Dio e salire sulla nave della Chiesa. La parrocchia è il luogo di rifugio alla luce di un’icona biblica dell’arca che ci aiuta a capire che le mode vengono e se ne vanno ma lo stile di vita è quello proveniente dalla fede e del dono di Dio che spesso sta in contrasto con il modello della società in corso. La bellezza del dono che è la Chiesa è per la società una struttura della “cura miracolosa” per l’immoralità e della salvezza contro le idee e le filosofie che stanno in contrasto con la vera visione antropologica, es., uomo padrone della vita: aborto ed eutanasia.

Lo stile di vita della comunità cristiana come si è visto, è molto dinamico e dipende da diversi fattori presenti nel cotesto dello sviluppo sia economico, sia politico, sia culturale come infine spirituale della società nella quale è presente la Chiesa. La ruota del mondo in ogni epoca scopre le vecchie tradizioni (come es., culinarie) e riesce a fare di queste una linea guida stabilendo le mode del momento. Quello che rimane è il cuore dell’uomo anche se influenzato dalle moderne correnti di pensiero, politiche ed economiche sarà sempre assettato ed affamato dei valori universali come amore, pace e giustizia.

“La nostra patria è nei cieli” dice s. Paolo ai Filippesi. E questa è un affermazione definitiva della sorte futura dell’uomo che creduta viene dimostrata dallo stile di vita. Vivi sulla terra da uno che è solo di passaggio.

[1] STYL ZYCIA, https://encyklopedia.pwn.pl/haslo/styl-zycia;3980878.html del 19.07.2021, (traduzione dell’autore)

[2] Didaché 7, 3.

[3] Ibidem, 4, 14.

[4] Ibidem, 14, 1.

[5] LETTERA A DIOGNETO, https://www.liturgia.it/content/diogneto/diogneto_ita.pdf, del 19.07.2021

[6] Ibidem, 5, 7.

[7] Ibidem, 5, 6.