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Carissimi, con il vangelo d’oggi,

stiamo celebrando la II domenica di Pasqua, che era desiderata dal Signore Gesù, d’essere chiamata, della Divina Misericordia. È una giornata che ricorda un piccolo episodio: l’incredulità dell’Apostolo Tommaso. L’amico e il compagno di Gesù che ha trascorso tre anni nell’ascolto delle parole e dell’insegnamenti del Maestro. Abbia assistito a tanti miracoli e ha avuto gioia di poter fare l’esperienza della bontà e della compassione del Maestro.

La Tradizione descrive questo discepolo come: un entusiasta, un altruista, un buono, un disponibile al servizio del Maestro. Tommaso è uno disposto a seguire il Maestro quando questi decide di andare a svegliare dalla tomba Lazzaro, anche se la cosa, come sarà, è altamente pericolosa. Tommaso è uno che getta il cuore oltre l’ostacolo. Ma al racconto della resurrezione di Gesù dei suoi amici, è incredulo o semplicemente – non crede.

Oggi mettiamo davanti a noi questa scena del Vangelo ed immaginiamola: Gesù sta seduto su una pietra e insegna come lo fa al solito. In un certo momento si alza e dichiara fortemente: dopo tre giorni risusciterò. Tommaso e lì che ascolta. Quando però giunge la notizia, esprime il dubbio: se non vedo… se non tocco … se non metto … il mio dito…. Io non crederò!

Proviamo a immaginare, che siamo stati anche noi ad assistere alla scena nel Cenacolo insieme ai discepoli. Tu che ne dici? Ci credi al loro racconto? Al posto di Tommaso avresti creduto? Sii sincero. Ci crederesti? Dalla risposta a questa domanda nasce lo stile di vita che abbiamo assunto e che viviamo. Il credo professato come nessun altro svela il nostro stile di vita. Ci si accorge subito come è, e di conseguenza qual è la fede da noi professata a il luogo dove là professiamo.

Ma ritorniamo al fatto che Tommaso è arrivato nel Cenacolo. Questo luogo si trova a Gerusalemme, che in questo momento è infuocata per la notizia, che Gesù è stato rubato dai discepoli dal sepolcro e poi nascosto per farci credere che è risorto. Loro – discepoli, sono i primi ricercati dagli ebrei e dai romani. Stanno chiusi in Cenacolo, in una stanza che si trova al piano superiore di un ricco proprietario, che l’ha gentilmente dato a Gesù per consumare la cena di Pasqua con i suoi discepoli. Ora sono chiusi come noi “in quarantena” per la paura di essere uccisi. Tommaso però era uno forte, perché usciva fuori! Sembra di non avere paura né della morte, né degli ebrei e nemmeno dei romani. Ma lo stare fuori lo cambiava – è diventato senza fede! Quel tempo passato fuori lo ha cambiato. Il succedersi delle cose ha fatto sì che non pensa più al Maestro, come se dovesse dire: là fuori ci aspettano per farci morire perché lo abbiamo nascosto, e voi raccontate che è risorto! Non ci crederò che Lui potesse farlo! E anche se fosse vero, cosa mi cambierà? Amici, scendete sulla tera e guardate che sta succedendo fuori….

È passata una settimana e Tommaso è ritornato dai suoi giri. La paura e lamento fuori dal Cenacolo è in costante aumento. L’entrata del Cenacolo è blindata come Fort Knox. Ai discepoli tramite Tommaso è arrivata la conferma con la notizia: ci stando ancora  cercando e non vogliono lasciarci in pace. Siamo persi. Nessuno ci salverà. In questa angosciosa paura entra Gesù. Subito si rivolge a Tommaso. Pace … guarda…. Metti … ti supplico: non essere incredulo!

Il Cenacolo ora è vuoto! Dove sono i discepoli impauriti? Cosa è cambiato? Tutto! Sono usciti ad annunciare che Gesù è veramente risorto! Ecco come cambia la vita con Gesù. Non c’è più la paura e lamento, c’è la gioia e il coraggio. Gesù li ha contagiati di Spirito Santo e questi hanno costruito per il mondo una comunità dove Lui, Maestro e Signore, è presente: hanno costruito la Chiesa. Hanno faticato e ancora oggi faticano a costruire questo luogo dove amore vince e dove ogni persona possa trovare Gesù. Possa trovare la Misericordia. O ci credi o no, Lui è Risorto e in Chiesa è presente sempre fino alla fine del mondo.

Ma veramente che cosa è cambiato? Dal Vangelo di oggi si presume che Gesù stesso ha desiderato incontrare Tommaso. Sembra che quasi lo supplica: “non essere incredulo, ma credente”. Ma non finisce qui ma gli offre un dono. Tommaso, come gli altri, possa scavare nelle ferite di Gesù risorto e possa trovare se stesso, il vero volto di Tommaso, senza maschere e fingimenti. È sempre così: Dio trova modo e tempo perché tu possa incontrarlo, senza se, ma con le tue ferite che parlano con le sue ferite, si riconoscono, anche loro fanno comunione, diventando guarigione reciproca. Ma l’uomo si vergogna di ritrovarsi nudo e in piena luce della verità di sé stesso e preferisce fingere: di credere, di essere giusto, bravo, innocente, senza peccato, il meglio degli altri e va a cercare, proiettando negli altri sé stesso: cattivo, egoista, traditore, pettegolo, bestemmiatore, irrispettoso, ect. In questa situazione giunge Gesù, e come otto giorni prima sta in mezzo, dona pace, e concede a Tommaso e a tutti noi l’esperienza delle ferite: vieni tu, ferito doppiamente dalla paura e dall’assenza, vieni a fare esperienza del Risorto ferito, guarda, tocca queste ferite; e questa comunione che ti offro non è una concessione, e neppure è il tuo SE al credere, ma il mio SÌ alla tua gioia.

Qui tocchiamo il punto centrale del Vangelo cominciato con l’Annunciazione e soddisfatto con Risurrezione, cioè: gioia, grazia, rallegrarsi, eucaristia. Questi termini hanno origine dallo stesso verbo greco, il verbo dell’annunciazione: Rallé grati, piena di grazia (Lc 1,28). I discepoli quella sera con Gesù hanno celebrato la gioia della Pasqua attorno all’altare che è Gesù stesso in mezzo a loro. Venne, stette, disse, mostrò le ferite, gioirono; questi sono gli elementi di ogni preghiera, a maggior ragione dell’Eucaristia: desiderio di comunione, ascolto della Parola, stare alla presenza di Dio, mostrare le proprie ferite, celebrare la presenza del Signore. La pagina del vangelo potrebbe finire così, e invece no…

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Gesù non è sazio della propria resurrezione: desidera che ogni suo amico viva questa esperienza di vita nuova di vita che ritorna, e solo lo Spirito può compiere questa nuova creazione. Il soffio di Gesù apre l’orizzonte e rianima il cuore dei suoi amici, affidando loro una missione umanamente impossibile, ma il Figlio di Dio ha già tracciato la strada. Lui, inviato dal Padre per essere la pace e il perdono, ti affida la sua stessa missione: essere pace e perdono, prima di tutto dentro di noi, per noi stessi, accettando e volendo bene a se stessi, perdonando i propri limiti e difetti, e poi sarà una conseguenza essere pace e perdono per chiunque incontriamo. Le ferite del Risorto diventano le ferite di ciascuno di noi, bisognosi di cura, di tutela, di pace e perdono. Ora questo Vangelo andiamo a cercare nella nostra quotidianità.

Tempo dell’epidemia e la nostra crescita nella fede

Papa Francesco preoccupato di questa situazione dice: “una familiarità  (con Gesù) senza comunità, una familiarità senza il pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa”. E spiega perché è così preoccupato: “Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicati, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la Comunione spirituale. La Chiesa virtuale non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore lo permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i Sacramenti. Sempre”. Oggi rischiamo che un domani …. potrà essere virtuale e che Coronavirus ci cambierà come è stato cambiato Tommaso. È diventato incredulo perché si è lasciato soffocare dalla situazione socio – religioso – politica della Gerusalemme e si è dimenticato delle parole del Maestro: io risorgerò.

In questi giorni uno dei vescovi a rivolto al Papa questo appello: “Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i Sacramenti, a non viralizzare il Popolo di Dio”. La Chiesa, i Sacramenti, il Popolo di Dio siamo concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo (virtuale), ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei Sacramenti, in mezzo al Popolo di Dio. Loro hanno fatto un cammino di maturità nella familiarità con il Signore: impariamo noi a farlo, pure. Dal primo momento, questi hanno capito che quella familiarità era diversa da quella che immaginavano, e sono arrivati a questo. Sapevano che era il Signore, condividevano tutto: la comunità, i Sacramenti, il Signore, la pace, la festa.

Perciò la Chiesa, nella sua immensa saggezza, ha voluto mettere otto giorni dopo l’evento pasquale la festa di Tommaso, patrono dei sfiduciati e in questa giornata inneggiare alla Divina Misericordia. Quella che converte e ci fa diventare seguaci di Cristo. Seguaci di colui che ha detto: “Dopo tre giorni risorgerò” (cf. Mt 9,31). Anche noi, dopo questi giorni che speriamo brevi, risorgeremo e usciremo dai sepolcri che sono ora le nostre case come i discepoli dal Cenacolo. Ma non per tornare alla vita di prima come Lazzaro, ma per una vita nuova, come Gesù. Una vita più fraterna, più umana, una vita di testimonianza cristiana!

Fino alla fine dell’epidemia, partecipando nelle case alla Messa Domenicale, diciamo prima di comunione spirituale questa preghiera che Papa ci propone:

“Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abbassa nel suo nulla e nella tua santa presenza. Ti adoro nel sacramento del Tuo amore, l’ineffabile Eucaristia. Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore; in attesa della felicità della comunione sacramentale voglio possederti in spirito. Vieni a me, o Gesù, che io vengo da Te. Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in Te, spero in Te, ti amo”.

P.S. Ricordiamoci dell’Eucarestia domenicale e di pregare nelle nostre case. È vero che ci hanno chiuso la Chiesa ma in cambio ci hanno aperto una in tutte le case.

È questo è molto positivo. Facciamoci una domanda finale: la mia casa è già la Chiesa Domestica?