Il nome di questo castello sembra derivare da una chiesa, dedicata a S. Cecilia, costruita probabilmente intorno al secolo XI e che nel 1363 era di proprietà dei monaci di Camaldoli.

Questo castello del Poggio S. Cecilia è citato, per la prima volta, nell’atto di sottomissione che i Cacciaconti dovettero sottoscrivere al comune di Siena, nell’anno 1197. Nello stesso atto vi era anche l’impegno a far consegnare ogni anno, dalle terre a loro sottoposte, un cero per la festa di Santa Maria Assunta nel duomo di Siena. Il Poggio era obbligato a fornirne uno di quattro libbre.

In un altro documento del 1213, gli abitanti del Poggio S. Cecilia prestarono giuramento di sottomissione al comune senese insieme al loro feudatario.

Dalla metà del XIII secolo i maggiori centri toscani, tra cui Siena, si erano spartiti i territori della regione e ogni città aveva raggiunto una “frontiera” che per quasi un secolo non sarebbe stato possibile superare. Questo ostacolo all’espansione di là dalle mura accentuò i conflitti interni. Le fazioni tesero a qualificarsi politicamente in conformità a precisi punti di riferimento. Contrasti sociali ed economici, diversità d’ideali, sono i motivi che contribuirono a dividere le cittadinanze secondo due linee fondamentali, l’una correlata al problema d’organizzazione interna dello stato-città, donde il conflitto nobiltà-popolo, l’altra correlata alla posizione della politica estera donde il conflitto guelfi e ghibellini. Il terreno di scontro era il contado, dove i fuoriusciti dell’una o dell’altra parte si impadronivano di diverse località del territorio sottraendole al comune. Dal 1260 fino al 1286 il Poggio S. Cecilia subì gravi devastazioni dalle due parti in lotta, anche perché era un castello di frontiera e in una posizione strategica. Nel 1263 i fuoriusciti guelfi di Siena, con a capo alcuni membri della famiglia Tolomei, dimoranti in questo castello, arrecarono danni a tutto il territorio circostante tanto che il governo senese, ghibellino, spedì contro il Poggio un esercito che sconfisse i ribelli. Sul finire del 1265 i guelfi “avevano ripreso animo” in special modo con la discesa di Carlo d’Angiò, ma vent’anni dopo, con la sua morte, i ghibellini ebbero un momento di ripresa. Proprio da Guglielmo Ubertini, vescovo di Arezzo, con cui si era schierata la nobiltà ghibellina e i fuoriusciti senesi, vennero momenti terribili per il nostro castello. Fu occupato con forza e fu munito di strutture difensive. Il governo senese dei Quindici, guelfo, non voleva perdere questa preziosa terra di frontiera, e nella seduta del consiglio generale del 31 ottobre 1285, deliberò di organizzare un esercito, al comando di Guido da Montfort, contro i traditori e i ribelli, e specialmente contro il castello del Poggio S. Cecilia. L’assedio durò circa cinque mesi. Il castello fu isolato da qualunque contatto esterno e i contravventori puniti ad arbitrio del podestà. Non si poteva neanche inviare lettere o mandare ambasciate e tanto meno portare aiuto agli uomini del Poggio S. Cecilia. Le comunità vicine furono obbligate ad inviare soldati. Fu ordinato che fossero abbattute alcune costruzioni difensive e fu, infine, messa una taglia sulle teste dei capi dei ribelli e su quelle degli abitanti e dei forestieri che si trovavano dentro il castello. Il 6 aprile 1286 il Poggio S. Cecilia cadde nelle mani del Montfort che aveva stretto questo castello con un assedio così imponente che non fu possibile per i ghibellini inviare rinforzi, né per gli assediati tentare sortite, così che furono presi e portati a Siena oltre cento prigionieri e il castello distrutto fino alle fondamenta. Solo nel 1357 il consiglio generale del 26 febbraio concesse agli abitanti del Poggio di riedificarlo come in antico e di tornarvi ad abitare. Vi furono ancora disastri per il Poggio S. Cecilia nella guerra tra la repubblica di Siena e papa Clemente VII (Giulio de’Medici), nell’anno 1526, quando fu occupato da una banda di ribelli senesi che lo depredarono e fecero prigionieri molti degli abitanti. Nell’ultima guerra tra Siena e Firenze (1554-1559), Poggio S. Cecilia rimase fedele alla repubblica senese fino alla sua capitolazione. Gli avvenimenti che si succedettero in quei tragici giorni furono minuziosamente descritti dai vari capitani dell’esercito imperiale-mediceo. L’importanza strategica di questo castello era opinione comune, perciò tutti i capitani al soldo del Medici scrissero entusiasti della sua presa. Per Iacopo de’Medici addirittura “l’haver preso il Poggio a Santa Cicilia ci siamo assicurati della Valdambra et del Valdarno; che non è poco.”  A differenza di Armaiolo, dove l’eccidio perpetrato doveva essere di esempio, Poggio S. Cecilia non subì né danni né massacri, perché volendolo mantenere, i capitani reputarono di non esasperare gli animi degli abitanti con azioni malvagie. Nel 1559, infine, con la capitolazione della repubblica di Siena ritirata in Montalcino, anche il Poggio veniva a far parte del ducato mediceo.